Super-visioni

Molto spesso mi confronto con chi lavora in contesti quali scuole, studi medici, ospedali, e tutti mi parlano delle loro difficoltà nello stare insieme e lavorare con persone in condizione di fragilità. Mi dicono: “tu come fai a non assorbire tutto ciò che ti portano i tuoi pazienti, il loro dolore, la loro sofferenza?”. Io gli rispondo intanto che comprendo le loro difficoltà, non è facile lavorare in contesti del genere, dove oltre all’espletamento delle questioni burocratiche c’è molto di più, cioè ci sono le relazioni. Il rischio di sentirsi “bruciati”, cioè senza più motivazione, forze, interesse, stressati, è sempre presente; il Burn-out.

Personalmente non assorbo i vissuti delle persone con cui lavoro, innanzitutto perché non è possibile farlo. Sarebbe come dire, Giulio si magia una torta e anche a me si innalza il livello di glicemia. Quello che faccio è attivare una modalità di ascolto empatico, cioè presto attenzione a ciò che mi succede mentre sto con l’altro e contemporaneamente a ciò che sta vivendo l’altro.Il tutto attuando Epochè, termine greco che sta per, sospensione del giudizio. E come lo faccio? Com-prendo, cioè accolgo, contengo, abbraccio.

La Super-visione la intendo quindi, come qualcosa di diverso dal dare la “giusta” visione dei fatti, dei vissuti, ma come uno spazio, in cui aprirsi a nuove possibilità di stare insieme all’altro. Una visione stra-ordinaria, fuori da ciò che è comune, routinario, diversa.

Un luogo in cui fornire a tutti gli operatori e professionisti, uno spazio protetto di espressione, confronto, sostegno, condivisione e riflessione operativa.