STORIE DI COPPIA

 

 

L'intento comune

Entrano come al solito nella stanza salutandomi ed accomodandosi ai soliti posti.

Cominciamo: “Come state? Come vi sentite in questo momento?

Inizialmente esprimono serenità Lei, e turbamento Lui.

Cominciano a parlarsi, a dire.

Parole e sensi, gesti e tonalità si cominciano a mischiare.

Li ascolto, cerco di dirigere il loro dire, l’uno verso l’altro.

Ancora tante parole, ognuno parla, dice, ipotizza e prova ad esprimere pensieri, che cominciano a diventare densi dentro la stanza.

Mentre si parlano, mettono in atto le solite modalità comunicative, in cui ci sono due individualità e manca un noi, un io e te, un io con conte, in cui si riversano sull’altro parole. Me li immagino come coperti da un manto offuscato.

Parlano, si parlano, ma come? Che si stanno dicendo?

Ognuno sembra dire la sua credendo anche di arrivare all’altro con le sue parole…non è così, lo dice il loro turbamento che continua ad aumentare mentre si parlano, le loro parole sono frecce che non arrivano al bersaglio. Che manca?

 

Mi dicono che effettivamente questo è il solito modo in cui si parlano, comunicano.

Lui nota di aver avuto lo sguardo altrove, quasi a non essere lì nella stanza, il turbamento lo sta avvolgendo.

Lei dice di aver cercato di esprimere il suo pensiero, ciò che voleva dire a lui.

Gli chiedo se così gli piace, gli va bene, e se si erano accorti di ciò che stavano provando mentre parlavano.

Lui mi dice tristezza, e si accorge di stare dimesso, giù;

Lei dice che non era più tanto serena, si accorge di essere rigida, ma ciò non l’avevano né riconosciuto né espresso, era rimasto dentro di loro, sopra i discorsi, e non dentro i discorsi.

Esprimono disagio e dicono che questa modalità di parlarsi non gli piace.

 

Li invito a fare un’esperienza, provando a togliere il manto in cui si erano avvolti mentre parlavano, per vedere ciò che ci può essere sotto. Eliminando per il momento le parole.

Accettano, e l’uno davanti all’altra ora si guardano, passano alcuni istanti e sembra che finalmente si vedano.

L’uno vede l’altra ed entrambi vedono e percepiscono se stessi in una nuova modalità, senza parole.

A questo punto in cui il contatto ha fatto la sua apparizione, gli chiedo di far diventare il loro messaggio, ciò che stavano cercando di esprimere prima a parole, un gesto, e di scambiarselo.

Si passano il loro messaggio, lei lo mette in mano a lui come se gli passasse acqua tra le mani, lui è come se lo facesse volare nell’aria.

Gli chiedo ora come si sentono e se gli è sembrato di essersi passati proprio ciò che volevano, il messaggio che volevano dare all’altro.

Mi dicono che qualcosa si è cambiato, si sono visti, lei dice di aver fatto la stessa cosa di prima, lui dice che gli è sembrato di aver passato il suo messaggio. Ma ancora qualcosa sembra mancare.

Allora gli chiedo cosa gli sembra sia mancato in questa esperienza, mi dicono, un dialogo e un intento comune.

Ecco l’ingrediente che mancava, la comunicazione tra loro era ancora priva di quello scambio circolare, fluido che c’è quando siamo in ascolto ed esprimiamo, e poi di un contenitore in cui far fluire tutto, l’intento comune appunto.

Ora gli chiedo di rifare l’esperienza aggiungendo proprio questi elementi.

Tutto cambia, le loro posture, il loro guardarsi, il loro stare insieme, cominciano a passeggiare nella stanza come in una danza in cui a volte l’uno a volte l’altra conduce o è condotto, si fermano insieme ed insieme ripartono, c’è divertimento, calore, intensità ed anche leggerezza.

La postura di lui si modifica non è più dimesso, è dritto, lei non è più rigida, ma morbida, fluida. Si emozionano.

Comunichiamo quando riusciamo intanto a stare in contatto con noi stessi, con i nostri pensieri, le nostre emozioni. Partendo da qui, ora riesco a vedere me e l’altro che ho davanti a me, e a dargli ciò che voglio dargli, e a prendere ciò che sto ricevendo, ed ecco la trasmissione.

Secondo un assioma della comunicazione non si può non comunicare.

Certo, la differenza la fa proprio il “come” lo facciamo.

Spesso assisto a racconti o scene in cui a parlare è solo una parte, in una sorta di monologo che assomiglia più a uno sfogo, a far uscire ciò che è compresso, invece che a dire ciò che voglio esprimere veramente.

Trovo importante portare la coppia a notare ciò che sta facendo lì, in quel momento, nello studio.

Di accorgersi del modo in cui sono lì con me e tra di loro, e di aggiungere attenzione.

Di cosa si accorgono?

Lui …"mentre parlo mi accorgo di sentire malessere e quando faccio così non esiste niente altro, me ne vado"… 

Lei… "stavo cercando di capire perché lui ha detto questo e non ciò che ha detto"...

Mentre sono lì, in quel modo, dove si immaginano di non stare?

Lui e Lei …" eh... Penso qui, non sono qui…".

Ecco se non sono qui sono altrove, e non sono né in contatto con me stesso, né con l’altro.

In tal caso è difficile comunicare. Solo prestando attenzione a me mentre parlo, acquisto contatto, ed è più facile che possa essere disposto al contatto con l’altro.

Ecco ora ti guardo e mi guardo ed esprimo la difficoltà che accompagna il mio dire.

In questo caso facciamo anche un azione importante ai fini comunicativi, esplicitiamo impliciti, non detti. Ora sono concreti, e solo ora ti sto comunicando che:

Lui …sto male, ho difficoltà e quando sto così abbasso lo sguardo e mi ritiro…,

Lei… mentre tu parli sono completamente presa solo dal cercare di capire le tue parole e non mi accorgo che sono a disagio, mi sento rigida.

Eccola lì la comunicazione efficace, l’altro è in ascolto adesso, ha visto; è diventato concreto ciò che fino a quel momento era un comportamento un atteggiamento che non mi piaceva, ora lo vedo, ora ti vedo.

Per fare questo c'è appunto bisogno di passare al riconoscere il mio stato del momento e portarlo sulla via della espressione, mandar fuori, rendere manifesto.