ARCHITETTURA DI UN SOGNO S.Dalì, Idilio Atomico e Uranico Melanconico, 1945

    Sognare è come respirare o camminare. È qualcosa che è connaturata alla natura umana.
    Il sogno è prodotto da noi, e quale nostro prodotto, è parte di noi.
    È un ulteriore voce che abbiamo per esprimerci.
    Di notte succede che ciò che abbiamo vissuto durante il giorno viene elaborato, riorganizzato, rimaneggiato.
    Nel sogno possiamo ritrovare parti della giornata vissuta: per esempio se ho incontrato tizio probabilmente lo ritroverò nel sogno ecc.
    Ma non solo! Visto che il sogno è un'ulteriore nostra voce, racconterà di noi, dei nostri vissuti, emozioni, turbamenti, gioie e dolori.

    Il sogno
    Oggi sono con F., appena entra nella stanza mi sembra agitata e quando le chiedo come sta, come si sente mi parla appunto di uno stato di agitazione di tristezza, di rabbia.

    Ultimamente sta dormendo poco e male e durante il sonno soprattutto quello di questa notte ha fatto dei sogni che l’hanno sconvolta e che lei definisce strani.
    Dopo di ciò mi fa la richiesta proprio di lavorare su questo sogno, che mi racconta:


    Mi trovo nell'oceano e sono in acqua, ad un certo punto mi ritrovo a dover andare giù, e tutti mi dicono di andare giù, devo andare giù.
    Faccio un po' di resistenza, credo di non farcela!

    A quel punto appari tu, (la terapeuta) e dici: “ce la puoi fare vai giù F. vai giù che ce la puoi fare”.
    In contemporanea sento la voce di un'altra persona amica, che mi incinta allo stesso modo: “dai F. dai F. vai giù F vai giù F.”, e quindi mi ritrovo immersa nell'acqua; incomincio ad avere difficoltà, a  sentirmi impaurita, e penso di non farcela, mi sento in difficoltà, e di nuovo compari tu che mi dici: “non importa F. torna su!”.

    Quando torno su, vedo mio padre con cui discuto fortemente, e durante la discussione papà piange. C’è anche mia sorella accanto a lui.
    Mi sveglio.

    Dopo avermelo raccontato mi dice di sentirsi turbata, in ansia, triste e un po' arrabbiata.
    Allora continuiamo a lavorare su questo sogno! Le chiedo di immaginare che questo sogno, le volesse portare un messaggio, un messaggio da sé a sé stessa; cosa si immagina che le voglia dire? mi risponde che il messaggio è: “sei capace ce la puoi fare”.
    Dopo di ciò  le chiedo come si sente, mi dice di sentirsi un po' sollevata e ancora un po' turbata, triste, arrabbiata.
    Continuiamo il lavoro sul sogno, e ne individuiamo le parti.
    Quali sono i personaggi di questo sogno? F. ne individua 6: c'è l'oceano, c'è la sua terapeuta, c'è suo padre, c'è la voce di questa persona, c'è sua sorella e c'è lei stessa.
    Ogni personaggio è una parte di F.
    F. Si cala in tutti i personaggi, a cui diamo voce.
    Sono l’oceano, sono profondo, calmo e a volte arrabbiato, e posso inglobare tutto se voglio, senza che nessuno se ne accorga.
    Sono F. sono rigida, con la testa dura, caparbia, e vuota a volte.
    Sono Mariantonietta, sono solare,  aiuto gli altri, sono calma e tranquilla.
    Sono la voce di X., sono burbero e dolce allo stesso tempo e provo stima per F.
    Sono y. (sorella) sono leggera, spensierata, mi aggrappo spesso a F.
    Sono J.( il padre) sono pesante, inglobo tutto, mi aggrappo a F.

    Dopo aver dato voce a tutte le parti del sogno, metto F. in una posizione in cui può guardare tutto questo; l’effetto che percepisce è multiplo; da una parte è sollevata, dice almeno non sono sola, dall’altra prova ansia perché è preoccupata di non riuscire a gestire tutto ciò che ha dentro.

     

    M. Chagall, Il Concerto, 1957

    Nel proseguire del lavoro individua quando nella sua vita lei è ogni parte, ognuno di quei personaggi.
    E mentre viaggia tra una parte e l’altra, scopre che essere oceano che ingloba tutto non va bene se lo fa, per esempio senza discriminare ciò che ingloba,  e che per esempio inglobare tutto è invece funzionale quando mangiamo, per prendere tutti i nutrimenti dei cibi, o quando facciamo sesso ecc.
    E che il vuoto  può essere sia spiacevole che ricco. Che un vuoto può essere fertile, come un vaso riempito di terra.
    E che aggrapparsi agli altri, di per sé non è sempre qualcosa di disagevole o opportuno, a seconda delle condizioni e del contesto può essere più o meno funzionale: se sto male, sono dolorante, sono giù di morale per esempio aggrapparmi agli altri mi potrebbe consentire di avere un supporto, una stampella da usare in quel momento per poi lasciarla andare e tornare a contare sulle mie gambe; se invece mi aggrappo agli altri per qualsiasi cosa io faccia, non è funzionale.
    Scopre ricchezza e sfaccettature dentro di sé. Scopre che per gestire questa ricchezza c'è bisogno prima di ri-conoscerla. Scopre che non ci può essere solitudine se stiamo con noi stessi.
    Scopre che l'immutabile non esiste. Che siamo fatti di tante parti, e non siamo o solo l’una o solo l’altra.

    I suoi occhi si inumidiscono di lacrime, mi dice che non aveva mai visto tutto questo dentro di sé, e che visto così è bello!